Bimbi superallergici: la cura «crescente»
Messa a punto a Trieste un nuovo trattamento, risolutivo in un caso su tre
TRIESTE - Curare le allergie alimentari somministrando dosi crescenti dell'alimento sotto accusa. Fino a riaddestrare l'organismo a tollerare anche i cibi che inizialmente scatenavano la reazione. È questa la nuova terapia con cui alla Clinica pediatrica dell'universitá di Trieste-Irccs Burlo Garofolo gli specialisti sono riusciti a guarire oltre un terzo dei bimbi superallergicí agli alimenti, e in particolare i piccoli ipersensibili alle proteine del latte e dell'uovo. Soltanto in Italia sono almeno 400 mila i bambini 5-15enni colpiti, di cui 3 mila a rischio di gravi reazioni anche dopo minimi contatti con l'allergene incriminato. Il successo della metodica di desensibilizzazione alimentare - in controtendenza con la strada comunemente seguita, ossia la totale eliminazione del cibo allergizzante dalla dieta del bimbo - è stato decretato da uno studio pubblicato sul Journal of Allergy and Clinical Immunology.
LA SPERIMENTAZIONE - La ricerca è durata tre anni e ha reclutato in tutta la Penisola 60 bambini diagnosticati come superallergici a latte e uova. Al termine del periodo di rieducazione, più di un terzo degli arruolati (36%) ha riacquistato la capacità di nutrirsi liberamente senza manifestare reazioni avverse. E oltre la metà (54%) del campione è comunque riuscito a tollerare nella dieta quantità limitate dei cibi che prima rigettava del tutto. «A questi soggetti - spiega Giorgio Longo, responsabile dell'Unità operativa di Allergologia dell´ospedale Burlo Garofolo - basta un contatto minimo e accidentale con la sostanza incriminata (l'allergene), talvolta il semplice odore, per scatenare una reazione violenta potenzialmente fatale». La terapia d'urgenza a base di adrenalina e cortisone risolve la crisi, ma il bimbo e i suoi familiari continuano a vivere nell'ansia di incontrare gli allergeni «killer». E se i bambini normo o medio-allergici tendono a guarire spontaneamente, quelli più gravi erano finora destinati a una vita di rinunce.
CURA IN DUE FASI - «Nel suo complesso la nostra procedura è faticosa e richiede un impegno continuo da parte dei genitori - precisa Longo - ma regala a queste famiglie una qualità di vita nuovamente serena». Lo schema di desensibilizzazione si articola in due fasi: la prima, a maggior rischio di reazioni, dura 10 giorni e si svolge in ospedale con il bambino ricoverato. Durante la degenza il latte viene somministrato a dosi rapidamente crescenti, iniziando da diluizioni quasi omeopatiche, e aumentandole rapidamente ogni due ore, finché alla dimissione il bimbo riesce ad assumere tra 10-20 millilitri di latte puro. La seconda fase prosegue quindi a casa dove i genitori, seguendo lo schema indicato, continuano a somministrare il latte, ma una sola vola al giorno e con aumenti molto più lenti e graduali. In questo modo il bambino arriva a tollerare dosi sempre crescenti del cibo sotto accusa, fino a liberalizzare del tutto la sua dieta. Nell'esperienza triestina «non abbiamo avuto casi letali - dice Egidio Barbi della Clinica pediatrica - ma in alcuni casi la desensibilizzazione può dare qualche complicazione». È però «un rischio che vale la pena correre per una ragione precisa: la strategia protettiva, cioè l'eliminazione di un cibo, è altrettanto pericolosa. Statisticamente, infatti, anche chi non mangia l'alimento incriminato entro 5 anni dall'inizio della dieta si imbatte casualmente nell'allergene - assicura - E di solito sviluppa una reazione molto violenta», avverte l'esperto. La lista di superallergicí in attesa di entrare nel protocollo del Burlo si allunga di giorno in giorno, e dopo aver desensibilizzato una bambina americana (la cui famiglia ci ha dedicato il sito Allergyhope.com/Italian.htlm, sempre dagli States ne stiamo aspettando un'altra», conclude.