Influenza aviaria, tutta la verità
saniNews
Ormai è un vero tormentone: giornali, radio, televisioni, tutti parlano dell’influenza aviaria, il virus con le ali che arriva da Oriente.
Tra sedicenti esperti e falsi allarmismi, però, la confusione sull’argomento è molta. Cerchiamo di fare chiarezza. L’influenza aviaria è causata da un virus, l’H5N1, che colpisce prevalentemente gli uccelli. Nel corso degli anni, a partire dalla sua comparsa nel 1997, il virus ha però contagiato anche 113 persone, 74 delle quali sono morte a causa delle complicanze. I soggetti colpiti, tutti residenti nei Paesi dell’Estremo Oriente (Vietnam, Tailandia, Indonesia, Cambogia, Korea, Giappone, Cina, Kazakistan) che sono stati focolaio della malattia, erano allevatori di polli, veterinari o addetti al servizio sanitario che sono entrati in contatto diretto con gli animali malati. Il virus H5N1, infatti, si trasmette per via gastrointestinale attraverso le feci dei volatili, e resta attivo in esse anche per una decina di giorni. Il fatto che l’influenza aviaria, che ha decimato gli allevamenti, abbia colpito anche l’uomo, significa che il virus è stato in grado di replicarsi nell’organismo umano, ma senza raggiungere livelli di morbilità e contagiosità tali da trasformarsi in epidemia. In poche parole, perché si verifichi la tanto paventata pandemia, cioè un’epidemia su scala mondiale, il virus H5N1 deve ancora mutare, assumendo caratteristiche antigeniche che consentano una maggiore rapidità di trasmissione interumana. Questo può avvenire solo mediante un tramite, cioè un altro animale che si faccia serbatoio della mutazione. Questo può essere il maiale, animale con caratteristiche cellulari comuni all’uomo, oppure l’uomo stesso. Per il momento, insomma, la minaccia di una pandemia non è imminente, anche se si tratta di un rischio reale: le pandemie seguono un andamento ciclico, e dopo una fase di quiescenza i casi verificatisi in Oriente potrebbero rappresentare una prima avvisaglia. Creare troppi allarmismi, però, è inutile: non potendo prevedere come muterà il virus, non siamo ancora in grado di produrre un vaccino che sappia sconfiggerlo. Il tradizionale vaccino antinfluenzale disponibile tra poche settimane, quindi, non ha nessuna funzione nei confronti dell’influenza aviaria, anche se resta molto utile per proteggere le categorie a rischio dalle complicanze della classica influenza tradizionale (virus H1N1 e H2N3). L’H5N1, per ora, resta isolato e poco pericoloso per l’uomo, anche se potrebbe raggiungere l’Europa attraverso gli uccelli migratori provenienti da est.
di Silvia Nava
L’influenza nella storia
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L’influenza non ha una caratterizzazione clinica specifica, come il vaiolo o la poliomielite per esempio. Però ha un andamento epidemiologico che consente di ricostruire un ritratto della sua diffusione nei secoli scorsi. Secondo recenti ipotesi, l’elevata mortalità riscontrata nel corso della famosa peste di Atene del 430 a.C. sarebbe da attribuire a una forma influenzale con superinfezioni batteriche. La descrizione della diffusione a livello europeo di una malattia con le caratteristiche delle pandemie influenzali risale al 1580 e da allora ne sono state riportate 31. Tra queste una delle più drammatica è stata quella del 1918-19 che ha causato oltre 20 milioni di morti. La Spagnola, così è stata chiamata, ha avuto un effetto così catastrofico anche grazie alle carenze sanitarie dell’epoca, peggiorate dalle difficoltà provocate dal conflitto. Altre due importanti pandemie del nostro secolo risalgono al 1957, l’Asiatica, e quella del 1968 (Hong Kong) entrambe provocarono danni minori, probabilmente grazie al miglior stato generale della popolazione e all’impiego di misure sanitarie più adeguate. Va segnalato che gli antibiotici per la cura delle complicanze batteriche erano finalmente a disposizione. Le prime analisi quantitative sulla mortalità influenzale sono state eseguite a Dublino nel 1837. Il calcolo venne eseguito confrontando il numero di nuove tombe nei cimiteri, in seguito a una grave epidemia, rispetto al numero di tombe registrato in un anno non epidemico. Questo concetto che viene ancora oggi utilizzato, è stato applicato per la prima volta nel corso dell’epidemia che colpì Londra nel 1847. Il virus dell’influenza fu scoperto nel 1918 da Dujarric de la Rivière all’Istituto Pasteur di Parigi. Nicolle e Lebally, negli stessi anni,
provocarono in Tunisia l’influenza nelle scimmie mediante un filtrato di muco nasale di soggetti influenzati. Nel 1933 Smith, Andrewes e Laidlaw, in Inghilterra, furono i primi a isolare il virus di tipo A e a provocare la malattia in furetti inoculandolo per via nasale. La tecnica di coltura del virus, simile a quella utilizzata ai nostri giorni (nell’uovo embrionato di pollo), fu introdotta nel 1936 da Burnett. Nel 1940, a New York, fu scoperto il virus di tipo B. Negli anni successivi si osservò il fenomeno della emoagglutinazione provocato da questi virus, che permise la messa a punto di metodi semplici e poco costosi per titolare i virus influenzali e i rispettivi anticorpi, nonché di sviluppare i vaccini. A Londra nel 1947 fu costituito un centro per gli studi epidemiologici e si scoprì il tipo C del virus influenzale ben caratterizzato solo recentemente.
di Alessandro Andreazza
pandemìa
fenomeno per cui una patologia investe, più o meno contemporaneamente, ampie aree geografiche dell’intero pianeta. Si può pertanto immaginare la pandemìa come una particolare forma di epidemia che, nel volgere di poco tempo, conseguente al grado di contagiosità del microrganismo causale, travalica i confini di una nazione, espandendosi nei diversi continenti. Al di là degli esempi storici (peste, tifo ecc.), oggi l’esempio più evidente di pandemìa è rappresentato dall’ influenza, la quale, con periodicità circa annuale, si presenta in molte parti di più continenti quasi contemporaneamente.
epidemìa
insorgenza improvvisa e simultanea di molti casi della stessa malattia infettiva (per esempio, tifo, colera, meningite ecc.), per un periodo di tempo limitato, con diffusione su larga scala e susseguente più o meno rapido esaurimento della forma morbosa. Lo studio delle epidemìe ha il compito di analizzare le modalità di insorgenza delle malattie infettive, come si manifestano, si propagano o permangono in una collettività e le condizioni che favoriscono tale insorgenza e propagazione. L’indagine si vale della microbiologia e della statistica che forniscono alcuni indici indispensabili quali la mortalità, la morbosità, la morbilità, la letalità ecc. L’attecchimento di un’infezione e l’insorgenza di una malattia infettiva sono condizionati dalla necessaria presenza dell’agente patogeno, dalla particolare recettività del soggetto o della specie e dalle condizioni proprie dell’ambiente fisico e sociale. Assume pertanto una grande importanza individuare le sorgenti di infezione, conoscere le vie di eliminazione e di penetrazione dei germi e le modalità di trasmissione: si possono così attuare quelle razionali opere di prevenzione che in gran parte del mondo hanno già portato alla diminuzione e talora alla scomparsa di alcune fra quelle che un tempo venivano considerate inevitabili calamità collettive.
mortalità
condizione definita dal rapporto tra il numero annuale di morti e la popolazione residente media (a metà anno). Tale rapporto può essere riferito a tutte le morti nel loro complesso, e allora è detto quoziente di mortalità, ma può essere riferito a parametri particolari, come l’età, il sesso o la causa. I confronti nel tempo dei quozienti di mortalità generale, per età (per esempio, mortalità infantile), per sesso e soprattutto per causa di morte offrono importanti indicazioni sulle condizioni sanitarie. Un’osservazione comparata nel tempo di questi quozienti, per esempio, tra l’Italia del 1900 e quella di oggi, consente infatti di osservare il passaggio delle patologie infettive dal primo all’ultimo posto nella classifica delle cause di morte; mentre una situazione opposta si verifica per le patologie cardiocircolatorie e tumorali.
morbosità
condizione definita attraverso il rapporto esistente tra il numero di malati e la popolazione. Tale rapporto può essere riferito a tutte le malattie nel loro complesso, e allora è detto quoziente di morbosità generale, ma solitamente è riferito a una specifica malattia, e in questo caso è detto quoziente di morbosità per causa. La morbosità può suddividersi, inoltre, in incidente e prevalente. La prima (incidenza) esprime il numero di nuovi casi di una malattia durante un periodo di tempo stabilito, in rapporto al numero di individui a rischio di sviluppare la malattia nella stessa area considerata (recettivi); in epidemiologia serve a quantificare l’entità di un fenomeno morboso di tipo acuto. La morbosità prevalente (prevalenza) esprime invece il numero di casi di una malattia esistenti durante un determinato periodo di tempo (morbosità periodale), in un momento preciso (morbosità puntuale), in rapporto alla popolazione complessiva; è un parametro che permette di quantificare le patologie croniche e cronico-degenerative.
infettive, malattìe
malattie che si trasmettono, solitamente da un organismo vivente all'altro, tramite diversi tipi di contagio e sono causate dall’infezione di virus o di parassiti microbici che, eliminati dall’organismo infetto, possono trasferirsi in un altro organismo. Alcune malattìe infettive sono tipiche dell’infanzia: la pertosse, il morbillo, la varicella, la scarlattina, la parotite. In alcune malattìe infettive la trasmissione avviene dagli animali all’uomo: le principali sono la peste, la rabbia, la malaria, le encefaliti e la brucellosi. Il primo passo della profilassi delle malattìe infettive è la denuncia da parte del medico all’Ufficio di Igiene; si deve poi provvedere all’immediata contumacia del malato fino alla scomparsa del rischio di contagio, alla disinfezione degli effetti personali del malato, alla disinfestazione nel caso in cui il contagio sia trasmesso da insetti o da altri animali.
contagio
trasmissione di una malattia infettiva da un individuo malato (o portatore sano dell’agente patogeno) a un individuo sano. La trasmissione di una malattia infettiva può avvenire per contatto tra persone o per contatto con animali ammalati (vedi zoonosi). Il contagio risulta possibile anche grazie all’azione di vettori (per esempio, fluidi e secrezioni fisiologiche dispersi nell’aria, ma più spesso animali come insetti, pesci, crostacei ecc.), che veicolano gli agenti causali della malattia: tipico il caso della malaria, il cui agente patogeno (il plasmodio) è veicolato da una zanzara anofele. Il contagio può verificarsi in un territorio definito, più o meno circoscritto (vedi epidemia; endemiche, malattie), o può coinvolgere vastissime aree del pianeta (vedi pandemia).
contumacia
misura sanitaria di isolamento che prevede l’obbligo di permanere in ospedale o nella propria casa per un certo periodo, la cui durata viene stabilita dalle autorità sanitarie. Segue all’esposizione a una malattia di una certa gravità, particolarmente contagiosa, anche rara nel territorio dove si applica il provvedimento.
disinfestanti
sostanze in grado di eliminare i parassiti che vivono all’esterno dell’ospite. I disinfestanti agiscono sugli insetti (insetticidi) ma anche su piccoli animali (per esempio, i rodenticidi per i piccoli roditori) o su erbe infestanti, che possono arrecare danno o solamente fastidio. Limitando l’attenzione ai parassiti umani, i disinfestanti vengono utilizzati per due scopi principali: la lotta agli insetti vettori di malattie (per esempio, mosche, zanzare, pidocchi) e la lotta contro gli insetti o gli animali che possono arrecare fastidio (per esempio, scarafaggi, zanzare, moscerini). Il possibile accumulo nell’ambiente, conseguente alla stabilità chimica di alcune molecole di disinfestanti, può rappresentare un fattore di rischio per la salute.
parassita
organismo animale o vegetale che vive sopra o dentro un altro organismo di specie diversa, detto ospite, e trae da esso i mezzi per la propria sussistenza, con proprio beneficio e danno per l’ospite. Il parassita non si limita a nutrirsi a spese dell’ospite, ma utilizza quest’ultimo come propria nicchia ecologica e gli affida in parte o totalmente il compito della regolazione dei rapporti di entrambi con l’ambiente esterno. I parassiti sono per definizione patogeni, attualmente o potenzialmente. Si distinguono parassiti facoltativi, che possono vivere anche indipendentemente dall’ospite, e parassiti obbligati, che dipendono strettamente dall’ospite per le proprie necessità. L’ospite a sua volta può essere permanente, quando tutto il ciclo biologico del parassita si svolge a spese dell’ospite stesso, o temporaneo, quando tale ciclo è limitato a un solo stadio di sviluppo. Si parla inoltre di ectoparassiti, che conducono vita parassitaria a contatto della superficie esterna dell’ospite (per esempio, i pidocchi, le pulci, vari acari, le zecche ecc.), e di endoparassiti, che vivono invece all’interno del corpo dell’ospite ( protozoi, vermi ecc.).