La medicina del futuro:
come la tecnologia ci allungherà la vita
Prevenzione, meno errori medici, ospedalizzazioni più brevi e minori costi per la sanità.
La medicina del futuro dà già segno di sé
Ottobre, una serata tiepida. Il signor Rossi sta camminando per le strade della sua città con il proprio cane quando gli si avvicina un’ambulanza. Scende un paramedico e lo invita a salire perché sta per avere un infarto ed è necessario condurlo in ospedale. Sembra distopico ma, in realtà, è uno scenario (per il momento immaginario) della medicina del futuro.
La situazione si complica e il signor Rossi ha uno shock cardiogeno, si palesa l’urgenza di un intervento chirurgico e – complici diverse situazioni e urgenze parallele – tutti i chirurghi sono impegnati. Viene quindi ingaggiato un chirurgo britannico il quale, da Londra, gestisce un robot per operare a Milano, nell’ospedale dove il signor Rossi è ricoverato.
La medicina del futuro, più che un’ipotesi
Lo scenario sopra è plausibile? La risposta è sì, perché il futuro va prima immaginato e le vicissitudini mediche del signor Rossi sono al centro della tecnologia medica-medicale che si prefigge tre scopi: diagnosi precise e precoci, cure più rapide e mirate, decorsi e degenze più snelle e veloci. Tutto ciò si traduce con il vivere meglio e più a lungo con ricadute positive sugli errori medici e sui costi della sanità.
Si può obiettare – non del tutto a torto – che una migliore prevenzione può evitare ospedalizzazioni e questo è insindacabile: tuttavia, notare la formazione di un tumore al suo insorgere non esclude cicli di chemioterapia, ne riduce casomai il numero e l’intensità. Allo stesso modo, un problema cardiaco diagnosticato prima che si presenti con tutta la sua violenza non esclude un intervento chirurgico, ne esige casomai uno meno urgente e dal decorso post-operatorio più breve.
A che punto siamo?
Occorre scindere la questione in due aspetti: il primo prettamente tecnologico, l’altro organizzativo e procedurale.
Di interventi a distanza se ne fanno già da 15 anni e anche su pazienti ospedalizzati in Italia. Nel 2006 il dottor Carlo Pappone ha operato da Boston al San Raffaele di Milano. Un intervento non molto complesso utile a dimostrare sul campo che la precisione dell’intervento è stata tale da ridurre i rischi post-operatori.
A Milano sono in corso decine di esperimenti di telemedicina, resi possibili dalla connettività 5G che è necessaria sia per la velocità di trasmissione sia per la bassa latenza. Se un chirurgo muove un braccio robotico a mille chilometri di distanza occorre che questo imiti i movimenti in tempo reale, se ci fosse uno scarto di tempo troppo elevato i movimenti del medico e del robot non sarebbero coordinati.
Le tecnologie mediche attuali consentono il controllo a distanza di persone con malattie croniche. Un aspetto di primaria importanza perché il continuo monitoraggio dei parametri consente di intervenire prima che la situazione clinica precipiti. Il che significa recarsi in ospedale prima che il ricovero diventi urgente e quindi rimanerci meno tempo, magari evitando misure drastiche come interventi oppure ospedalizzazioni lunghe.
Chi c’è dall’altra parte?
Medici in carne e ossa e Intelligenze artificiali (AI). Per tornare all'ipotetico signor Rossi che indossa sensori, i quali monitorano il suo cuore, i dati raccolti sono inviati a una centrale – normalmente un ospedale o una clinica specializzata – ed esaminati da una AI la quale, trovando delle anomalie nei parametri vitali, attiva una procedura che verrà poi seguita da un medico.
Le AI in campo medico sono usate soprattutto per fare diagnosi perché sono in grado di consultare milioni di cartelle cliniche e giungere a conclusioni in modo autonomo. Va da sé che la diagnosi va confermata dall’uomo e quindi temere che un giorno verremo curati da un algoritmo è prematuro e, allo stato attuale delle cose, non possiamo essere certi che accadrà. Ma la doppia lettura dei dati uomo-macchina consente di ridurre gli errori perché, se al medico tocca l’ultima parola, è anche vero che le Ai gli offrono un supporto preciso, basato su l'analisi di un numero di dati che un uomo impiegherebbe anni a leggere.
Non solo prevenzione
La tecnologia non consente soltanto diagnosi e cure più precise, consente anche riabilitazioni inimmaginabili fino a qualche anno fa. Una prova tra le tante è Hannes, mano robotica tra le più evolute al mondo costruita a Budrio (Bologna) con il contributo dell’Inail e che ridà la massima mobilità all’uomo che ha perso il proprio arto naturale.
Allo stesso modo a Trento (ma potremmo citare molti altri progetti simili) con Trec si sta creando una sanità digitale fatta di dati, di interazione istantanea tra medico e paziente e di cure a distanza, somministrate quando è necessario nella quantità utile, e questo grazie a sensori indossati dai pazienti. A tratti forse fastidiosi – il progresso ce ne consegnerà di più piccoli e discreti – ma capaci di migliorare la vita delle persone.
La questione culturale e organizzativa
A frenare l’adozione di queste tecnologie intervengono questioni culturali, etiche, normative, organizzative e logistiche.
Resta l’annosa questione della privacy e quella delle responsabilità: una diagnosi sbagliata è colpa del medico, dell’AI, di chi ha creato gli algoritmi, di chi li ha istallati, e via così lungo tutta la filiera? Difficile stabilire le responsabilità così come appare difficile creare norme che aiutino i modelli di medicina tecnologica a prendere definitivamente piede.
Non da ultimo, la questione logistica e organizzativa, che esula del tutto dalle tecnologie in sé: esiste una tecnologia che può salvare la vita al signor Rossi, ma chi si fa carico di seguirne lo stato di salute (quale ospedale, quale medico, …) e gli effetti di tutto questo possono essere leniti se non ci sono uomini e mezzi per intervenire in tempi rapidissimi, se non persino in tempo reale.
Giuditta Mosca